Nuovi media fantastici e come sfruttarli

KIWI

A ciascuno il suo linguaggio

C’è poco da fare: il linguaggio è uno degli elementi che più identificano l’appartenenza (o meno) a un certo gruppo. Si tratta di un segnale immediato, quasi istintivo – o ce l’hai o non ce l’hai. Senza vie di mezzo.

Per esempio un Boomer può provare a utilizzare modi di dire e intercalari tipici della Gen Z, ma questo non lo renderà uno di loro: suonerà sempre un po’ forzato, costruito.
Sui social succede la stessa cosa: il linguaggio che ciascuna piattaforma adotta è unico e caratteristico, ed è quello il motivo per cui il pubblico la sceglie d’altronde.
Quando una nuova rete sociale emerge dal basso, si struttura proprio intorno ad un modo di comunicare specifico, che ne diventa la sua caratteristica dominante. 
Dapprima è frequentata solo dai più giovani, che trovano rifugio nel loro essere gruppo alternativo, lontani dal mondo degli adulti. Poi i primi early adopters da altri strati sociali arrivano a sondare il terreno. E quando tocca ai giornali, è finita: viene consacrato il “nuovo social del futuro”, e orde di curiosi si riversano tra le pagine virtuali.

Ma il linguaggio di quella piattaforma, e delle persone che ne hanno permesso l’ascesa, rimane: è la caratteristica su cui si fondano le sue differenze.

Vecchi media che si travestono da nuovi

Basta pensare a ciò che è successo negli ultimi anni: l’ascesa di Snapchat ha consacrato il linguaggio spontaneo e temporaneo dei video in verticale, e proprio questa sua caratteristica ne ha decretato il successo. 
O più di recente TikTok, che in poco tempo è diventato un fenomeno mondiale e inarrestabile grazie ai suoi video divertenti e irriverenti, proposti uno dopo l’altro su un Feed da cui è impossibile staccarsi.

Instagram ha provato a copiare entrambe le cose: ha sentito i giovani parlare un nuovo linguaggio e ha iniziato a dialogare con il proprio pubblico nello stesso modo. Sono nate le Stories, e poi i Reels.
E forse in un certo senso la strategia ha anche funzionato: il social che stava invecchiando si è fatto un lifting, ha tirato un po’ la pelle per sembrare più giovane, e in questo modo ha iniziato a far sentire più giovani anche i propri utenti.

Ma per quanto si sforzi, non potrà mai trasformarsi veramente – solo travestirsi.

E come si parla sui nuovi media?

Basta frequentare un po’ questi famosi “nuovi media” per capire che ciò che funzionava sui vecchi qui, semplicemente, risulta una brutta copia fuori luogo. 

Un video Youtube si può riciclare su Twitch, o una pubblicità per Instagram adattare per metterla su TikTok…ma parlerà sempre un linguaggio diverso, un po’ inappropriato, poco consono. E quindi, per definizione, non otterrà il successo.

Perché sui nuovi media si parla in modo nuovo: non si ricicla, non si ripropone…al massimo ci si reinventa. 
Ci si deve presentare nudi e originali, o il filtro della piattaforma (nel caso dei social, l’algoritmo) alla fine non ci lascerà passare.

È il triste destino dei brand che ci provano senza convinzione, e si presentano alla festa col vecchio vestito rattoppato e un po’ accorciato per sembrare più “cool”: restare fuori. Ai margini. Magari dopo aver speso un sacco per il biglietto.

Dalla pubblicità per gli utenti, alla pubblicità degli utenti

Facendo un giro su TikTok per esempio lo si capisce subito: la pubblicità non funziona.
C’è, anzi ora che tutti hanno capito le potenzialità di questo social ce n’è anche parecchia. Ma la si riconosce subito. 
Appare inappropriata, disturba, prova a essere simpatica e divertente ma risulta vagamente triste, e il dito scorre inclemente: prossimo!

Non c’è niente di sbagliato in lei, è che sbaglia il linguaggio: prova a parlare agli utenti, mentre dovrebbe lasciar parlare loro.
Loro, i veri protagonisti, i padroni di casa che si muovono leggiadri sulla scena, come se non avessero mai fatto altro: i Creators.

Che stiano parlando di cosa hanno mangiato a pranzo, o mostrando il luogo dell’ultima vacanza, oppure descrivendo un prodotto a cui vogliono fare promozione, il loro tono è lo stesso.
Coerente, adatto, esattamente ciò che ci si aspetta di vedere. Semplicemente è “giusto”.

Eccolo, il segreto dei nuovi media: far parlare i creators è il modo più efficace. 
Noi di KIWI lo sappiamo bene. In fondo il nostro lavoro è anche ascoltare i nuovi linguaggi, e imparare a utilizzarli per i nostri clienti. 

Un brand non è un tiktoker, ma un tiktoker può parlare per un brand

Analizzando migliaia di dati di comportamento su questi nuovi canali, ormai mainstream ma su cui così pochi riescono a comunicare efficacemente, abbiamo capito una grande verità: un brand non può comunicare come un tiktoker. Uno streamer. Uno Youtuber. O in generale, come un Creator.

Sono realtà diverse, parlano in modo diverso, e anche se fosse possibile imparare questo nuovo linguaggio, non significa che convenga farlo.
A volte invece che studiare una nuova lingua conviene semplicemente…trovare qualcuno che la parli.
E lasciare che comunichi per noi.

Ecco quello che spesso preferiamo fare: perché la voce dei Pantellas che dice “take eat easy” è molto più audace di quella di Saikebon. E se poi si mettono a parlare insieme, nella stessa lingua, sono più convincenti.
Oppure se lasciamo che siano i padroni di casa, due streamer come Grenbaud e Gaia Clerici, a presentare Sanremo ai più giovani su Twitch e TikTok, Amazon Music potrà parlare con un linguaggio tutto nuovo e molto più autentico.

È questo il vero segreto del successo sui nuovi media: usare un nuovo linguaggio. Far finta di niente e utilizzare strumenti vecchi che funzionavano su altri social porterà i brand a restare sempre in un angolo, alla festa. Quando invece potrebbero scendere in campo e brillare insieme alle migliori (web) star.

Vuoi imparare a parlare il linguaggio dei new media? Sai dove trovarci.