I Cookies sono morti. Lunga vita al permission marketing.

KIWI

Un futuro “cookieless”?

Il mondo del marketing sta cambiando. Più del solito, si intende.
Nuove tecnologie, regolamentazioni, crescente consapevolezza dei consumatori – le strategie digitali delle aziende sono sempre sottoposte a stress.Ma da quando, nell’aprile del 2021, Apple ha annunciato AAT, un futuro incerto è apparso all’orizzonte.

App Tracking Transparency è l’acronimo del cambiamento nel digital markerting.
Con il suo ultimo aggiornamento, la Mela ha di fatto dato un bel morso al mercato pubblicitario online, impedendo di tracciare l’attività degli utenti sui suoi dispositivi.

E gli altri Big promettono di seguire a ruota, persino Google annuncia il completo abbandono dei Cookies di terze parti entro il 2023.

Come sarà il futuro della pubblicità online, senza più la possibilità di “seguire” gli utenti?

Meno biscotti per tutti

I cookies sono diventati i migliori amici dei marketers ai tempi dei social.
Hanno permesso di conoscere i gusti degli utenti, le loro attività online, i dati demografici – spesso senza che loro stessi ne fossero davvero consapevoli.

Regolamentazioni come il GDPR avrebbero dovuto ridurre il problema. Ma ci hanno solo costretto a spuntare mille caselle all’arrivo su un sito. 
Scandali come Cambridge Analytica e Facebook hanno puntato i fari dell’attenzione sul fenomeno, e sempre più persone hanno impugnato i forconi, invocando un futuro senza cookies.Così pare che le campagne a performance abbiano le ore contate.

Dove hai preso quei cookies?

Ma non tutti i biscotti fanno male. Dipende dall’origine degli ingredienti, o nel nostro caso, dei dati.
È guerra aperta con i Third-Party Cookies, i dati generati da fonti esterne. Comprati o acquisiti su siti terzi e social, sono i preferiti delle campagne Facebook e Google Ads.
Tracciano le azioni degli utenti, le loro caratteristiche, e usano queste informazioni per ritrovarli altrove. Insomma, puzzano di stalking.

Molto meno problematici i First-Party Cookies: acquisiti direttamente sul sito web interessato, ci dicono su che prodotti gli utenti si soffermano, quanti escono prima di acquistare, e altre informazioni utili per il marketing.

Le aziende continueranno ad avere accesso a questi, forse con modalità diverse.
Ma la morte dei cookies di terze parti avrà ugualmente un impatto enorme sulle campagne marketing di tutte le aziende.

Come conservare i preziosi dati da terzi? Probabilmente non si può. Il marketing basato sullo stalking è morto, inizia l’era del marketing basato sul permesso.

Parola d’ordine: posso?

Si chiamano Zero-party data: sono le ceneri da cui può risorgere la fenice del marketing digitale. Si tratta di dati che non appartengono a nessuno, se non al consumatore – gli vengono semplicemente chiesti. È il marketing basato sul permesso, e non è certo una novità: è già tra noi da parecchio tempo.

Ogni volta che un potenziale cliente lascia la propria email per iscriversi a una newsletter, quando compila un questionario in cambio di uno sconto, quando l’azienda si offre di inviargli gratuitamente informazioni che gli interessano, in base ai suoi gusti e necessità.
Magari attraverso una piattaforma su cui il cliente può esercitare il controllo, perché ciò che gli serve oggi può cambiare domani. E allora basta aggiornare le proprie preferenze per continuare a ricevere contenuti rilevanti, sempre.
In fondo, se i dati sono l’oro della Data Economy, chi li produce dovrebbe essere ricompensato. Non derubato.
Non è fantascienza, è come tutto è cominciato. Prima dei social, prima delle ads, prima dell’oro digitale dei dati e della fissa per il performance marketing.

Perché diciamoci la verità, chi l’ha inventata questa storia che la pubblicità è fastidiosa?

Arriva Carosello

Erano gli anni ‘60, gli albori della pubblicità, adulti e bambini si radunavano davanti a una vecchia televisione in bianco e nero al grido di “arriva Carosello!”. Contenuti divertenti, che hanno fatto la storia, che le persone volevano vedere. Pubblicità, ma in forma di intrattenimento.

Avanti veloce fino a oggi: banner invasivi, bombardamento pubblicitario non richiesto, messaggi non rilevanti o incoerenti sui diversi canali.  La pubblicità era e deve tornare ad essere un servizio. Uno utile, divertente, interessante. Quando si fa comunicazione bisogna ricordarselo: l’utente non è un bersaglio da colpire, è una persona da conquistare. 

È importante essere poco invasivi a livello di messaggio, non interrompendo o martellando. Bisogna inserirsi bene in un Journey perfettamente mappato così che risulti naturale, sia come frequenza che come contenuto. Raggiungere il consumatore dove più è interessato e reattivo, e nel momento in cui lui ne trae beneficio.

Se non è custom, non esiste.

Soprattutto, con contenuti sempre più personalizzati. Customizzati in base alle sue esigenze e i suoi gusti, quelli che lui stesso ci ha comunicato: così l’ad che gli arriva davanti torna ad essere visto come un servizio e non come un’interruzione. 
Meno pubblicità, più contenuto – utile e di valore.
Il contrario di quanto è spesso successo nel panorama digitale. E proprio la sua mancanza ha portato Google e annessi a dover rivedere gli strumenti di acquisizione dei dati, per la tutela di una privacy troppo spesso violata

Privacy non è una brutta parola, né la fine del marketing come lo conosciamo. È un diritto, una richiesta di trasparenza, di possibilità di scelta e controllo su come vengono usati i dati.
L’ecosistema del web deve evolversi per soddisfare queste crescenti richieste. E le aziende con esso.

Se ti serve aiuto nel creare comunicazioni e campagne che sappiano davvero conquistare il tuo pubblico, contattaci.